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lunedì 9 novembre 2009

Public Enemy.

Ieri sera ho visto Public Enemy di Michael Mann, che si conferma grande narratore. Come sempre, grande montaggio, grande ripresa (vedi l' uso della camera a mano) nella quale ritornano i classici ralenty di Mann, fotografia maestosa, dai toni grigi, uggiosi e poi bronzei, per celebrare le vecchie messe a fuoco delle macchine fotografiche degli anni Trenta, che sono state realmente usate durante le riprese.
E' anche un omaggio all' arte che dopo la poesia rappresenta il ricordo e la memoria, ovvero la fotografia.
E non ci sono buoni o cattivi, in Public Enemy. Solo i più bravi attori che Hollywood vanti al momento ( in modo oserei dire INDISCUSSO), Jhonny Depp e Christian Bale, i quali si stagliano come giganti sulla scena, offrendo una raffinatissima prova di recitazione, densa di emozioni vibranti che rendono i personaggi umani e vicini, seppur inseriti in una dimensione epica e distante da noi, nella quale sia Dillinger che Purvis si oppongono a un potere corrotto e corruttore, anche se scelgono due alternative al potere che tra di loro non s' incontreranno mai, se non dopo la morte: Purvis, infatti, morirà suicida nel 1960, dopo aver abbandonato il corpo di polizia. Dunque, nessuno è salvo.
E alla fine il crimine ha il volto di un gentleman che rapina banche e l' amore è un merlo. Ma bisogna vedere il film per capire il senso della mia ultima affermazione.
Bravo Mann.

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Nulla è estraneo, nulla è troppo remoto da mettere in pratica.

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Laureata in Lettere presso l' Università di Catania e diplomata alla Scuola d'Arte drammatica " U. Spadaro" del Teatro Stabile di Catania.