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sabato 20 giugno 2009

Mentre le testate dei maggiori quotidiani nazionali continuano a dar peso alle vicende di Villa Certosa e i radical chic di sinistra s' illudono di stare conducendo una battagliona culturale anti-premier pubblicando su facebook gli articoli di Repubblica sul tema di cui accennato sopra, io, che non sono radical, né chic; io che sono una persona tranquillissima: insomma, IO ho deciso di pubblicare quanto segue:



Contro lo snobismo di massa [«Laboratorio Samizdat», IV, 7 novembre 1989]

[...]

La via della rinuncia ascetica continua a sembrarmi valida soltanto come itinerario individuale, per così dire, al bene. Come ci sono delle persone, che la mattina fanno un certo tipo di ginnastica piuttosto che un altro o che consumano solo certi prodotti dietetici, perché pensano che faccia bene alla salute, così certamente fa molto bene rinunciare alla molteplicità inutile, non passare troppe ore davanti alla Tv oppure non rincorrere tutte le novità librarie o non mettersi in coda con migliaia di persone per vedere sette quadri di impressionisti, cosa che avviene in questo momento un po' dovunque in Europa.

Questo possiamo farlo, ma in questi termini, la cosa non va al di là della pia pratica individuale. Appena uno osasse spostarsi al di là e proporla come linea di gruppo, immediatamente saremmo assaliti da dieci filosofi accademici arruolati dai principali quotidiani, che ci accuserebbero - non sto inventando, sono cose reali che si possono vedere ogni giorno - di essere persone che - attraverso la linea dell'ascetismo, la drammatizzazione della storia, l'ostacolare il godimento dei consumi - vogliono in realtà l'oppressione, la tirannia, il gulag.

Forse non hanno tutti i torti. Non perché chi vuole queste cose desideri il gulag, l'oppressione o la tirannia, ma perché volere quei processi ecologici (che non riguardano soltanto l'industria inquinante, il buco di ozono o la foresta amazzonica, ma la testa della gente) significa - per me certamente - scatenare un certo tipo di conflitti, che possono avere, oltre a quelle positive, anche delle conseguenze estremamente negative, cioè quelle che noi chiamiamo le tirannie o le tragedie storiche.

Non siamo affatto garantiti (come vogliono farci credere i nostri governanti e i loro porta spada o portavoce o portacroce) dalla democrazia. No, non siamo protetti. La democrazia è un complesso di tecniche per l'accertamento delle volontà, per la guida politica di un gruppo, di un popolo, di una nazione, ma non si applica ai valori. Per dirla molto sinteticamente, come diceva un mio amico, il poeta Giacomo Noventa, «l'esistenza di Dio non si vota a maggioranza». Ma neanche si votano a maggioranza infinite altre cose, che hanno a che fare, appunto, con i valori, cioè con le ragioni che - come si diceva una volta - ha l'uomo di vivere e di morire. La democrazia in queste cose non funziona: i più non hanno ragione sui meno. In tutte le questioni veramente essenziali della nostra esistenza appunto: la vita, la morte, la malattia, l'amore - non vale la regola della maggioranza. Ed ecco perché, allora, sono assolutamente persuaso che una lotta per una «ecologia» della cultura, del sapere, ossia per una riduzione del superfluo, qualora fosse portata avanti (cominciando innanzitutto dalla lotta per stabilire cosa è superfluo e cosa non lo è...) porterebbe a tali conseguenze e così dirompenti che l'ipotesi di una possibile susseguente oppressione (tirannia o violenza) va presa in considerazione. Non per approvarla, ma per sapere che ad ogni sforzo verso una verità e una vita superiore o migliore corrisponde la possibilità del suo contrario. Detto altrimenti: chi vuole evitare la tragedia, come condizione della vita umana, può farlo. Ma, a questo punto, apra il televisore e se lo guardi fino al momento della morte.





Franco Fortini, da " Dialogo ininterrotto", 2003.




Era il 1989. Un anno particolare, come tutti sanno. A buon intenditore, dunque, poche parole!

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Laureata in Lettere presso l' Università di Catania e diplomata alla Scuola d'Arte drammatica " U. Spadaro" del Teatro Stabile di Catania.